venerdì 16 febbraio 2018

La Terra del Ferro e del Fuoco - Cap VII - Manhattan

Manhattan. Cosa veniva in mente a Martin quando sentiva risuonare questa parola? Ground Zero, il World Trade Center e le Twin Towers. Un film di Woody Allen del ’79 con Diane Keaton. Un cocktail a base di Whiskey, Vermouth e Angostura. In realtà questo è un capitolo che è una vera e propria bomba atomica...

Manhattan


Manhattan. Cosa veniva in mente a Martin quando sentiva risuonare questa parola? Ground Zero, il World Trade Center e le Twin Towers. Un film di Woody Allen del ’79 con Diane Keaton. Un cocktail a base di Whiskey, Vermouth e Angostura.
“Nient’altro?”
No, nient’altro.
“Allora, amico mio, mi permetta di aggiungere qualcosa al suo bagaglio culturale”
Martin si mise comodo. Il divano era confortevole. Il fuoco sul caminetto crepitava allegramente, visto che all’esterno, nonostante si supponesse fosse estate pioveva a catinelle e la temperatura era tutt’altro che clemente. Tra le mani teneva un bel tazzone di caffè all’americana, che gli faceva da termosifone portatile. Si, c’erano tutte le condizioni per ascoltare la bella ed avvincente storia del Professor Battirani. D’altronde non era arrivato fin là appositamente per quello?
Battirani iniziò a raccontare del Progetto Manhattan. Il nome non era nuovo per Martin che però non riusciva ad associarvi un file adeguato. Si trattava del famoso progetto, avviato dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale, che avrebbe portato alla creazione (e allo sgancio) delle prime bombe atomiche.
L’idea di realizzare l’arma atomica viene suggerita al governo americano proprio dai fisici, primo tra tutti Albert Einstein, preoccupati dalla possibilità che la Germania nazista riesca a produrre per prima il terribile ordigno. Nel 1938 infatti i chimici tedeschi Otto Hahn e Fritz Strassmann avevano ottenuto la prima fissione nucleare e gli scienziati teutonici guidati da Werner Heisenberg sembravano aver concrete possibilità di realizzare il più potente congegno di distruzione di massa mai concepito prima di allora.
“ Il presidente Roosevelt decise allora di finanziare un progetto che permettesse di assicurare le condizioni indispensabili per la produzione di energia dal processo di fissione nucleare. Il nome originario di questo programma era “Laboratorio di Sviluppo dei Materiali Energetici Sostitutivi”, ma forse avrebbe potuto attirare qualche attenzione di troppo, cosa non proprio gradita quando si vuole sviluppare un piano di lavoro segretissimo. Quindi il nome venne prima mutato in Manhattan Engineer District, visto che il quartier generale, almeno nominalmente era in un edificio di Broadway vicino al Municipio di New York. Poi vista la mania tutta americana di rifilare alle cose nomi pomposi per poi poterli accorciare, divenne semplicemente Manhattan Project” .
Martin era confuso.
“ Scusi se la interrompo Professore” – disse timoroso – “ ma non riesco a capire perché mi sta raccontando questa storia: che c’entra con la pedagogia e tutto il resto?”
Battirani lo osservò severo. Che avesse sbagliato ad affidare le proprie speranze a quel rintronato bellimbusto?
“ Oh rieccoci con la fretta del giorno d’oggi! Società Moderna e Contemporanea! LEI mi ha chiesto di raccontarle la mia storia, e io gliela sto giustappunto narrando!”
Martin lo guardò affascinato.
“Lei quindi ha preso parte al Manhattan Project?”
“Purtroppo sì. Ma pensavo che ci arrivasse anche da solo” disse il Professore rabbuiandosi.
Martin tentò di farsi piccolo piccolo. Di sicuro ci avrebbe pensato bene prima di fare una nuova domanda. Battirani riprese la propria narrazione.
La logistica del progetto venne seguita dal Generale Leslie Groves (liquidato da Battirani come “un militaraccio”), mentre il direttore scientifico era Robert Oppenheimer, fisico americano di origini tedeche.
Oppenheimer si circondò dei più eminenti fisici al mondo, soprattutto di tutti quegli scienziati ebrei che si erano dovuti rifugiare negli States dopo esser stati cacciati dalle Università di mezz’Europa.
“ Tra questi c’era anche Enrico Fermi che, come saprà, era stato mio relatore di tesi ai tempi dell’Università a Roma”
Fermi, giunto al quartier generale di Los Alamos quando questo era ancora in costruzione nei primi mesi del 1942, si era ricordato del suo giovane e brillante allievo caduto in disgrazia e aveva fatto di tutto, interessando anche i servizi di Intelligence americani, per ritrovarlo e farlo arrivare incolume dall’altra parte dell’ oceano.
“ Come le avevo già accennato ci vennero a prendere in elicottero. Non so come fecero a scovarci, ma ci riuscirono e questa probabilmente fu la nostra fortuna: meglio che essere rintracciati da fascisti o nazisti che ci avrebbero di certo deportati. Sulle prime restammo comprensibilmente spaventati. Vedere dei militari armati ed in divisa non è mai un’esperienza piacevole. “
Martin lo poteva comprendere. Non solo non aveva neanche fatto il militare, ma aborriva qualsiasi genere di arma.
“ Vi hanno caricato sull’elicottero così, senza dirvi niente, solo puntandovi le armi addosso?”
“ Assolutamente no, amico mio. Tra l’equipaggio c’era anche un soldato di origini italiane che ci spiegò il motivo per il quale ci erano venuti a prendere. E questo bastò per farci tranquilizzare”
Dopo qualche giorno Battirani e sua moglie Sara raggiunsero, in maniera piuttosto avventurosa l’ Inghilterra.
“ Il governo di Churchill collaborò attivamente al Progetto Manhattan. Noi restammo per qualche giorno nella cittadina di Portsmouth, sede di un importante porto nel Sud Est del paese “.
“ Mia moglie, nel tentativo di ritrovare un po’ di vita normale, ebbe il tempo di visitare la cittadina, che comunque era già stata duramente provata dai bombardamenti tedeschi. La cattedrale, il porto, le tipiche case inglesi tutte vetrate e persino la HMS Victory, la nave nella quale l’ Ammiraglio Nelson trovò la morte durante la Battaglia di Trafalgar e che era diventata un museo galleggiante e visitabile, diventarono le attrazioni che Sara visitava con l’atteggiamento di meraviglia di un bimbo, cercando di farsi scivolare addosso le tensioni e i patimenti sofferti negli ultimi anni.”
Martin provò a pensare ai viaggi da tipico turista che aveva fatto nella perfida Albione. Certo era stato Londra, l’aveva amata e si era divertito un sacco. Ma pretendere di sperimentare la vera vita di un inglese medio stando a Londra era un po’ come andare alla ricerca di una piantagione di banane in Alto Adige. Ovviamente la situazione e la vita quotidiana nelle altre cittadine del resto del Regno Unito era differente. Martin ricordò di esser rimasto stupito da una cosa: mentre passeggiava in una piccola cittadina del Sud inglese aveva notato come molti abitanti avessero la tendenza ad essere sovrappeso. Poi aveva capito il perché: mentre a Pordenone i ragazzi passeggiando erano usi mangiare un cono gelato, i loro omologhi inglesi affondavano le prensili mani in un capiente cartoccio di fish & chips da asporto. Con effetti prevedibili.
Chissà se anche la signora Battirani si era adeguata a questo lifestyle per riacquistare una parvenza di vita serena?
La consueta vocina interna lo insultò pesantemente e lo invitò a prestare attenzione al proseguio del racconto.
“Nel frattempo io passavo interminabili ore alla Southwick House, sede del Comando Supremo delle Forze Alleate, in seguito diventata celebre per essere stato il luogo dove Eisenhower e Montgomery progettarono il D-Day.
Qui cercavano di convincermi a partecipare attivamente al Progetto Manhattan”
“ Lei era scettico ? “ – chiese Martin.
“ Si prospettava una scelta non semplice. Sapevo benissimo per quale scopo venissero richiesti i miei servigi. Dovevo decidere se astenermi dal gioco, con la prospettiva che l’imbianchino austriaco coi baffi avrebbe potuto scoprire per primo un’arma micidiale, o scendere in campo con la squadra dei “buoni”. Era un deterrente: se Hitler avesse avuto l’atomica, noi avremmo potuto minacciare una rappresaglia. Certo è che se avessi saputo, come ho poi scoperto in seguito che i tedeschi già dal 1942 avevano smesso le ricerche sugli armamenti atomici, mi sarei astenuto dal partecipare a questa partita mortale. “
Battirani era estremamente turbato. Martin cercò di pensare a qualche modo per alleggerire la tensione, ma il Professore lo prevenne.
“ La prego, non mi interrompa. L’ ho fatta venir qui perché ho bisogno di raccontare a qualcuno la mia storia, perché non vada perduta. Mi ascolti. “ – disse, torturandosi le mani tra di loro.
Martin lo vide per la prima volta come un vecchio sofferente. Fino a quel momento aveva pensato che quell’uomo straordinariamente forte non avrebbe mai mostrato nessun segno di cedimento, di debolezza.
“ La prego, continui”
“ Insomma, vi presero parte i più grandi scienziati dell’epoca: Bohr, Einstein, Fermi. A tutti sembrava una causa giusta, ma io non riesco a togliermi dalla mente che il nostro lavoro che concettualmente doveva servire alla sicurezza di tutti, alla fine servì a togliere la vita a migliaia di innocenti e a rovinarla ad altre migliaia. In ogni caso alla fine accettai, convinto che la mia opera sarebbe servita per un’ opera buona e meritoria. Fermi mi attendeva e io partì portando con me Sara.”
Il Professore e la moglie raggiunserò Fermi ed Oppenheimer all’inizio del 1943 a Los Alamos, uno squallida landa nel New Mexico.
“ Qui incontrammo per la prima volta Oppenheimer. Era stata sua l’idea di costruire un laboratorio in quell’angolo remoto. D’altronde come biasimarlo? Chi avrebbe mai avuto la malsana idea di ficcare il naso laggiù? La vita a Los Alamos, se vita si può chiamare, non era per niente semplice: vivevamo e lavoravamo in un vecchio Ranch, recintato con il filo spinato e sorvegliato giorno e notte da sentinelle. L’uso del telefono era abolito, la corrispondenza privata era controllata dai servizi segreti e l’unico abbigliamento permesso, anche per gli scienziati, era la divisa militare. Non serve che le dica che il luogo era isolatissimo da qualsiasi parvenza di società civile e che c’era il timore che qualche scienziato facesse il doppio gioco e facesse uscire informazioni riservate.”
“ Ma chi avrebbe mai potuto farlo?” – chiese ingenuamente Martin.
“ Mai sentito parlare di Klaus Fuchs?”
Evidentemente Martin non lo aveva mai sentito nominare. Ma la storia del Professore lo stava appassionando.
“ Qual’era esattamente il suo compito a Los Alamos, Professore?” – chiese in un impeto di curiosità.
“ Amico mio, ha una vaga idea di come funzioni una bomba atomica?”
Martin aveva un’ idea talmente vaga che il suo ragionamento su di essa poteva risolversi in un mero enumerare di termini quali uranio, fissione, massa instabile e reazione a catena che avrebbero dovuto susseguirsi in un discorso difficilmente coerente. Preferì fingere una completa ignoranza ed attendere la spiegazione di Battirani.
“ Dunque, per farla breve: il principio è quello della reazione a catena di fissione nucleare. In sostanza il nucleo di alcuni elementi radioattivi, tipo l’Uranio 235 o il Plutonio 239, se colpito da un neutrone libero può scindersi in 2 o più parti generando energia. Per innescare la reazione a catena è necessario che il materiale sia sufficientemente puro ed arricchito dai suoi isotopi più fissili e in massa sufficientemente grande. In questo caso si sviluppa una reazione completamente incontrollata che si propaga in maniera esponenziale in un intervallo di tempo nell’ordine del microsecondo, liberando una gran quantità di energia, con effetto esplosivo. Le è tutto chiaro?“
Si, abbastanza.
“ Fermi nel dicembre del ’42 aveva già sperimentato, a Chicago, una prima pila atomica, che ottenne la prima reazione a catena controllata grazie all’uso di alcune barre di grafite che servivano ad assorbire i neutroni e rallentare, fino a fermarlo il processo di reazione a catena. Quello fu il primo passo: il successivo sarebbe stato quello di un’esplosione a catena non frenata. Ma per far questo occorreva avere a disposizione materiale fissile opportunamente arricchito, in misura sufficiente. Il mio lavoro almeno inizialmente fu quello di stabilire l’energia dei neutroni emessi dal nucleo dell'uranio nel processo di fissione. Nei reattori nucleari per la produzione di energia, i neutroni vengono rallentati proprio per controllare la reazione a catena ed evitare l'esplosione, per la bomba invece servono neutroni veloci e bisogna conoscere, prima di tutto, la loro energia. “
Battirani osservò Martin che lo scrutava con l’aria di chi sta ascoltando un appassionante racconto di fantascienza
“ Tutto ciò che le sto raccontando è reale, sa? Anche se meno divertente di quanto possa sembrare”
Martin non ne dubitava affatto.
“ In un secondo periodo venni spedito nel Tennessee ad Oak Ridge. Era una delle cosiddette “città invisibili” insieme con Los Alamos ed Hanford, nello stato di Washington. Per motivi di segretezza vennero infatti letteralmente cancellate da ogni cartina topografica esistente e fu vietato il traffico aereo civile e militare su di esse. Se Los Alamos fu il luogo dove vennero assemblati gli ordigni, Hanford e Oak Ridge furono le fabbriche del materiale fissile: rispettivamente plutonio ed uranio.
Oak Ridge fu il più grande dei tre complessi industriali. Si trovava vicino a Knoxville, nei pressi del fiume Clinch. Questa vicinanza fu strategica in quanto permetteva di attingere acqua per raffreddare i reattori nucleari.
La vita ad Oak Ridge era un po’ diversa rispetto a Los Alamos. C’erano infatti molti abitanti: tra operai, carpentieri e scienziati la popolazione era circa come quella di Pordenone e, fortunatamente, c’era possibilità di ricreare alcuni rapporti sociali. Il compito dell’impianto era quello di separare l’ Uranio 235 dall’ Uranio 238, presente in natura. Io supervisionavo scientificamente le operazioni con altri colleghi della Columbia University.
Non saprei descrivere la grandiosità dell’impianto in altro modo, se non con una storiella.”
Martin impallidì. Al Professore aveva dato di volta il cervello?
“ I fisici e i chimici separavano gli isotopi già prima della Seconda Guerra Mondiale. Era una cosa normale, sa? E’ molto interessante separare gli isotopi, perché ogni isotopo ha proprietà fisiche differenti rispetto al nucleo.”
Era ufficiale. Battirani era impazzito. Era quello il momento di mettersi a giocare al piccolo chimico?
“ L’impianto più grande di separazione poteva avere 50 tubi di vetro situati lungo il banco di un laboratorio, con uno studente, un tecnico di laboratorio e un professore che dirigeva sapientemente le operazioni. E in sei mesi, forse, era possibile ottenere un piccolo campione.
Ora Oak Ridge riproponeva lo stesso principio, ma in proporzioni completamente differenti: c’erano una sessantina di fabbricati, ciascuno dei quali aveva l’aspetto di una raffineria di petrolio con tutti i suoi condotti, pompe e torri. Erano ordinatamente allineati su un fronte di un chilometro e mezzo ed ogni edificio era largo una cinquantina di metri e collegato agli altri. I tecnici per fare esattamente le stesse cose che fino a qualche anno prima facevano comodamente seduti sulla sedia di un laboratorio dovevano muoversi usando la bicicletta.
Impressionante, no?” -disse Battirani, quasi divertito.
Martin stava cercando di immaginarsi mentalmente questo gigantesco laboratorio, questa immensa distilleria situata nello stesso identico territorio di quella del signor Jack Daniel. Ovviamente il prodotto era differente, ma per altre e ovvie ragioni, nel corso degli anni avrebbe avuto un elevata richiesta commerciale.
“ Ovviamente anche in questo gigantesco laboratorio all’aria aperta la vita era tutt’altro che semplice: la sorveglianza era continua ed era necessario mostrare continuamente il proprio lasciapassare, subire perquisizioni per dimostrare che non si stava trasportando fuori dal laboratorio del materiale Top Secret, e sopportare come un dato di fatto che tutte le proprie conversazioni, anche quelle più banali, venissero in qualche modo origliate, spiate”
A Martin scappò un sorriso: immaginava quali grandi mal di testa avrebbero potuto causare le stralunate chiacchierate che ogni tanto faceva col suo amico Leo. Il linguaggio era così criptico e pierno di sottintesi che sicuramente avrebbe fatto loro guadagnare qualche giorno di isolamento, quali pericolosi sediziosi.
“ Riuscimmo a svolgere il nostro lavoro in modo soddisfacente e consegnammo tutto quanto richiestoci al Sito Y, come era convenzionalmente chiamato il Laboratorio di Los Alamos.
In cambio ricevetti un esclusivo biglietto per assistere ad un’assoluta prima mondiale: il Trinity Test”.
“Ovvero?”
“Ovvero la prima esplosione nucleare prodotta dall’uomo che ebbe luogo nel pieno del deserto del New Mexico nel Luglio del ’45.
Mi ricordo tutto come fosse oggi. Nell’aria c’era fermento. Da qualche giorno pioveva e le previsioni non erano incoraggianti. Il problema non era rappresentato dalla pioggia, quanto dal vento che avrebbe potuto spargere radiazioni tutt’attorno. Noi, la ristretta elite che aveva l’occasione di assistere a questa succulenta premiere, ce ne stavamo rintanati nei rifugi di cemento lontani una ventina di chilometri dal punto dove avrebbe avuto luogo l’esplosione. Con gli occhialini protettivi d’ordinanza in mano, pronti e in attesa di ordini superiori. Non si voleva disattendere agli ordini del Presidente che nel frattempo era in viaggio verso Potsdam dove doveva incontrarsi con Churchill e Stalin.
Groves era impaziente di spedire buone notizie al suo capo e decise che alle 5.30 la detonazione poteva aver luogo.
Inforcammo gli occhiali e i nostri occhi vennero colpiti da una luce intensissima, che mai il Sole fu in grado di raggiungere. Si alzò un vento impetuoso e travolgente seguito da un sordo e squassante tuono. I nostri cuori sussultarono. Avevamo avuto il privilegio di vedere gli effetti della più potente arma mai creata, e l’avevamo creata con le nostre mani e il nostro ingegno. Il senso di soddisfazione lasciò presto spazio ad un’ansia ed un’angoscia che non se ne sraebbero mai più andate. Coloro che l’avrebbero rivista in azione successivamente, in genere, non sarebbero stati in grado di raccontarlo ai nipoti, come io sto facendo con lei. Se non a prezzo di aver la vita rovinata.
Successivamente effettuammo un sopralluogo sul punto dell’esplosione. Quel cretino di Groves, camminando attorno al gigantesco cratere aperto dalla bomba si mostrò perplesso.
Tutto quell’ immenso sforzo, tutti quei cervelli, tutti quegli operai, tutti quei millioni di dollari di finanziamenti, avevano prodotto solo quel cratere, anche se di dimensioni considerevoli.
Sarebbe bastato per far arrendere i crucchi, peraltro già in piena disfatta, e soprattutto quegli ostinati musi gialli?
Lo zuccone sottovalutava il potere della polvere radioattiva, ma meno di un mese dopo migliaia di giapponesi se ne resero conto e non fecero tanto caso al fatto che il caratere creato dall’ordigno fosse di piccole o grandi dimensioni.”
Battirani si fermò. Fece per riprendere fiato. Poi guardò Martin e sorridendo amaramente pronunciò una sorta di ironico epitaffio.
“ Amico mio, due a zero e palla al centro. Proprio un bel successo per la scienza, no?”

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